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Leptospirosi: non dimentichiamola!

Panoramica sulla leptospirosi

La leptospirosi è una malattia infettiva a carattere zoonosico e a distribuzione mondiale, sostenuta da batteri Gram-negativi del genere Leptospira spp. La tassonomia delle leptospire è complessa e in continua evoluzione, e si basa su due distinte modalità classificative. Dal punto di vista sierologico vengono riconosciute più di 300 sierovarianti di Leptospira spp., raggruppate in 30 sierogruppi. Secondo la classificazione biomolecolare, invece, sono note ad oggi 66 genospecie, suddivise in 4 subcladi. Le genospecie patogene appartengono quasi esclusivamente al subclade P1 (WOAH, 2021).

Nei Paesi occidentali la leptospirosi è una zoonosi scarsamente considerata e, a causa di una diminuita capacità diagnostica, a prevalenza sottostimata. Malgrado questo, la malattia assume grande rilevanza per la salute pubblica, specialmente nei Paesi poveri e in via di sviluppo, dove si registrano le prevalenze maggiori. Si stima infatti che, nel mondo, ogni anno la leptospirosi provochi più di un milione di casi umani, esitando in circa 59000 decessi (CDC, 2021). L’esposizione occupazionale, i viaggi internazionali e alcune attività ricreative svolte all’aria aperta, come il nuoto, il rafting, la pesca sportiva, o il giardinaggio, sono considerati i principali fattori di rischio per l’uomo (Schuller et al., 2015). 


Figura 1. Ciclo di trasmissione di Leptospira spp. (Immagine creata con BioRender.com)

La leptospirosi può colpire molte specie di mammiferi domestici e selvatici che possono fungere da ospiti accidentali oppure da ospiti di mantenimento per una specifica sierovariante (Figura 1). Gli ospiti di mantenimento, come ad esempio i ratti per il sierogruppo Icterohaemorrhagiae, raramente sviluppano sintomatologia clinica, ma rappresentano un’importante fonte di contagio per gli altri animali perché albergano per lungo tempo le leptospire patogene a livello renale e le eliminano nell’ambiente tramite l’urina. L’infezione, infatti, avviene solitamente attraverso il contatto diretto di mucose e soluzioni di continuo della cute con urine infette o acqua e terreni contaminati (Schuller et al., 2015).

La sopravvivenza delle leptospire è fortemente favorita dalla presenza di acque stagnanti, fango, e temperature miti, mentre il batterio viene rapidamente inattivato dalle temperature sotto lo zero, dall’assenza di umidità, dalla luce diretta e dall’acqua salata. In ragione di questo, sebbene la malattia sia diffusa in tutto il mondo, è osservata più frequentemente nelle zone tropicali e sub-tropicali a clima umido (Bharti et al., 2003). La situazione climatica in via di cambiamento e i fenomeni sempre più frequenti di allagamenti ed esondazioni potrebbero tuttavia accentuare il rischio di diffusione del patogeno anche nelle aree a clima temperato (Lau et al., 2010).

In Italia, in particolare nelle regioni settentrionali, la leptospirosi è stata endemica per l’uomo fino agli anni Sessanta. Nella maggior parte dei casi l’insorgenza della malattia era riconducibile ad attività che esponevano al rischio di contrarre il patogeno, come il lavoro nelle risaie. Con la progressiva meccanizzazione della risicoltura e l’adozione di misure di profilassi per i soggetti a rischio, il numero di casi umani è andato via via diminuendo e la malattia è diventata sporadica nell’uomo (Ciceroni et al., 2000). Allo stesso tempo, la leptospirosi continua ad essere diagnosticata in animali da reddito, come bovini, suini, cavalli e in animali da compagnia, principalmente nel cane.

La leptospirosi canina

Il cane risulta particolarmente suscettibile all’infezione e può sviluppare forme gravi di malattia, come la sindrome uremica, la sindrome ittero-emorragica e la sindrome respiratoria emorragica. A seconda della sierovariante coinvolta, la sintomatologia può variare notevolmente da subclinica a iperacuta, con forme più o meno tipiche e danni prevalentemente a carico di fegato e reni.

La diagnosi di leptospirosi è complessa e deve basarsi sulla valutazione di dati clinici e anamnestici, e sui risultati di laboratorio. Esistono protocolli diagnostici raccomandati in caso di sospetta infezione (IZSVe, 2020). Questi includono indagini sierologiche, come il test di microagglutinazione rapida (MAT), considerata la metodica gold standard a livello internazionale e indagini biomolecolari (PCR o Real-Time PCR), eventualmente in associazione ad esami del sangue e delle urine.

Pur ammalandosi in forma grave, il cane generalmente non è un buon escretore, ma svolge un importante ruolo di sentinella del rischio di infezione per l’uomo, fungendo da indicatore delle sierovarianti di Leptospira circolanti nell’ambiente (Bertasio et al., 2020). I principali sierogruppi associati alla leptospirosi canina in Europa sono Icterohaemorrhagiae, Grippotyphosa, Australis, Sejroe, e Canicola (Balboni et al., 2022). Il cane può rappresentare un reservoir per Canicola ed Australis, mentre ratti e ricci sono gli ospiti di mantenimento più importanti per gli altri sierogruppi (Balboni et al., 2022; Suepaul et al., 2010). L’epidemiologia della leptospirosi canina può dunque variare a seconda della localizzazione geografica, delle specie reservoir presenti nel territorio e del ricorso o meno alla vaccinazione. La vaccinazione è uno strumento molto utile a prevenire le forme cliniche di leptospirosi nei cani e contribuisce ad attenuare l’escrezione batterica. I vaccini attualmente in commercio in Europa sono bivalenti (protezione per i sierogruppi Canicola e Icterohaemorrhagiae), trivalenti (protezione per i sierogruppi Canicola, Icterohaemorrhagiae, e Grippotyphosa), oppure tetravalenti (protezione per i sierogruppi Canicola, Icterohaemorrhagiae, Grippotyphosa, e Australis).

La situazione epidemiologica nel Triveneto: i risultati della Ricerca Corrente IZSVe 05/17 RC

Recentemente l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ha condotto uno studio finalizzato ad approfondire le conoscenze epidemiologiche sulla Leptospirosi canina nel Triveneto. La ricerca aveva, come obiettivi principali:

  • l’identificazione delle sierovarianti di Leptospira circolanti nel territorio, al fine di potenziare il database di genotipizzazione già a disposizione
  • la valutazione dell’adeguatezza dei vaccini disponibili per il cane 
  • l’individuazione dei fattori di rischio climatico-ambientali connessi all’infezione
  • la definizione del rischio di infezione nell’uomo in categorie di pazienti esposti (categorie professionali a rischio) e non esposti (donatori di sangue). 

I risultati ottenuti in questa ricerca integrano i dati storici del Centro di Referenza Nazionale per la Leptospirosi (CRNL) e i dati raccolti in una precedente indagine dell’IZSVe (RC IZSVE 16/12).

Il progetto ha coinvolto 126 strutture veterinarie private (quasi tutte localizzate nell’Italia nordorientale), che hanno fornito dati e campioni relativi a 617 casi sospetti su base clinica nel periodo compreso tra gennaio 2018 ed agosto 2021. Al fine di confermare i sospetti clinici e di definire le genospecie e le sierovarianti coinvolte, sui campioni raccolti sono state eseguite analisi sierologiche (MAT), microbiologiche (coltura in terreno EMJH), molecolari tradizionali (Real-Time PCR) e molecolari di nuova generazione (MLST, MLVA). Di 617 casi sospetti, 211 sono stati confermati come casi sulla base dell’esito positivo alla Real-Time PCR e/o isolamento e/o positività alla MAT con titolo > 1:400 per almeno una sierovariante del pannello antigenico. Le analisi di laboratorio hanno confermato quanto già osservato nella precedente ricerca IZSVe. Sono stati rilevati, nei casi confermati, 6 distinti Sequence Type (ST), associati a 3 genospecie. I ceppi appartenenti al sierogruppo Icterohaemorrhagiae (ST17) sono risultati essere i più frequentemente riscontrati, seguiti in ordine decrescente di prevalenza dai ceppi appartenenti ai sierogruppi Australis (ST198 e ST24), Pomona (ST117 e ST289), e Sejroe (ST155). La Tabella 1 riporta i dati complessivi relativi alle sequenze ottenute nel periodo 2013-2020 sui campioni raccolti dal CRNL e dall’IZSVe, mentre la Figura 2 fornisce una mappa di distribuzione dei ceppi tipizzati tramite MLST.


Tabella 1. ST identificati tramite genotipizzazione (MLST) dei campioni raccolti dal CRNL e dall’IZSVe nel periodo 2013-2020

 


Figura 2. Distribuzione delle positività per gli ST riscontrati tramite le prove di genotipizzazione (MLST) nel Nord Italia. La mappa è stata generata con i dati ottenuti dal CRNL e dall’IZSVe nel periodo 2013-2020

Nel presente studio sono stati inoltre inclusi campioni di specie selvatiche e sinantropiche rinvenute morte, al fine di valutare un eventuale loro coinvolgimento nell’epidemiologia della leptospirosi nell’area geografica presa in esame. Ad eccezione dell’ST289, ceppi appartenenti a tutti gli ST riscontrati nel cane sono stati identificati anche nelle altre specie oggetto di indagine. In particolare, l’ST17, individuato nella maggior parte dei cani, è stato rinvenuto anche in 21 ratti, 2 topi e una volpe. Le analisi di caratterizzazione genetica hanno inoltre evidenziato ST non rilevati nei cani coinvolti nello studio, quali ST146 (L. borgpetersenii Javanica), rinvenuto in due volpi e in un riccio, ST149 (L. borgpetersenii Ballum), individuato in un riccio e un nuovo ST, non presente nel database internazionale, ritrovato in un’arvicola. I genotipi delle Leptospire ritrovati nel cane e nelle specie selvatiche descritte sono stati confrontati attraverso un'analisi di tipo Minimum Spanning Tree (Figura 3).



Figura 3. Minimum Spanning Tree costruito sugli ST. Ogni cerchio rappresenta uno specifico ST e il numero di settori corrisponde al numero di campioni aventi quel determinato ST


L’analisi dei fattori di rischio ambientali non ha individuato un particolare trend spaziale nella conferma dei casi nell’area di studio, e nemmeno una correlazione tra l’incidenza dei casi osservati e la stagionalità. Allo stesso tempo, l’analisi dei dati raccolti tramite questionario epidemiologico relativo ai casi clinici registrati in Veneto ha evidenziato come l’esposizione recente a fonti di acqua dolce o roditori possa aumentare la probabilità di conferma del caso di 2.36 volte, mentre sono risultati fattori protettivi la vaccinazione regolare (in grado di ridurre del 50% la probabilità di contrarre l’infezione) e la frequentazione di ambienti urbani.

L’indagine sierologica per la valutazione del rischio di infezione in categorie professionali esposte (medici veterinari) e non esposte, svolta su 211 soggetti, non ha rilevato differenze di prevalenza nelle due categorie (Mazzotta et al., 2022). Questo potrebbe essere imputabile al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale nella pratica veterinaria, e rafforza l’ipotesi secondo cui il cane rappresenta una sentinella del rischio di infezione, più che una fonte di trasmissione all’uomo.

Le connessioni epidemiologiche con alcune specie selvatiche messe in luce dall’indagine, così come l’elevata prevalenza del sierogruppo Icterohaemorrhagiae riscontrata nei casi clinici analizzati, confermano come l’infezione da Leptospira nel cane sia molto probabilmente una conseguenza della contaminazione ambientale diffusa dai roditori che agiscono come principali reservoir delle sierovarianti Icterohaemorrhagiae e Copenhageni. Anche il ruolo dei ricci, reservoir per il gruppo Australis, è da considerare con attenzione. Inoltre, dallo studio emerge che i vaccini attualmente disponibili, pur conferendo un’adeguata protezione, non riescono a coprire la totalità dei sierogruppi circolanti nel Nord-Est italiano. Sarebbe pertanto auspicabile un ampliamento del pannello vaccinale con l'inclusione degli antigeni rappresentativi degli altri sierogruppi in circolazione (Pomona e Serjoe).

È infine doveroso sottolineare l’importanza che la prosecuzione delle attività di genotipizzazione riveste al fine di approfondire le conoscenze sulla diffusione della leptospirosi in Italia. Malgrado si tratti di una malattia soggetta a notifica, le segnalazioni ufficiali dei casi clinici nel cane scarseggiano, perché spesso la diagnosi è affidata a laboratori di analisi privati. La possibilità di offrire analisi a titolo ufficiale ai veterinari libero professionisti consentirebbe agli Istituti Zooprofilattici Sperimentali di svolgere un importante ruolo di osservatorio epidemiologico su questa zoonosi, con risvolti positivi anche per la salute umana, secondo un’ottica One Health.


Bibliografia

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  2. Bertasio, C., Boniotti, M. B., Lucchese, L., Ceglie, L., Bellinati, L., Mazzucato, M., Furlanello, T., D’incau, M., Natale, A. (2020). Detection of new leptospira genotypes infecting symptomatic dogs: Is a new vaccine formulation needed? Pathogens, 9(6), 1–20
  3. Bharti, A. R., Nally, J. E., Ricaldi, J. N., Matthias, M. A., Diaz, M. M., Lovett, M. A., Levett, P. N., Gilman, R. H., Willig, M. R., Gotuzzo, E., Vinetz, J. M., & Peru-United States Leptospirosis Consortium (2003). Leptospirosis: a zoonotic disease of global importance. The Lancet. Infectious diseases, 3(12), 757–771
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  6. Lau, C. L., Smythe, L. D., Craig, S. B., & Weinstein, P. (2010). Climate change, flooding, urbanisation and leptospirosis: fuelling the fire? Transactions of the Royal Society of Tropical Medicine and Hygiene, 104(10), 631–638  
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  10. Suepaul, S. M., Carrington, C. V. F., Campbell, M., Borde, G., & Adesiyun, A. A. (2010). Serovars of Leptospira isolated from dogs and rodents. Epidemiology and Infection, 138(7), 1059–1070   
  11. World Organisation for Animal Health (WOAH) (2021). Leptospirosis. Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals 2022. Chapter 3.1.12. WOAH, Paris, France.  

Tassinato C.1, Mazzotta E.1, Lucchese L.1, Boniotti M.B.2, Bertasio C.2, D’Incau M.2, Ceglie L.1, Bellinati L.1, Mazzucato M.1,
Natale A.1,*
1Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
2Centro di Referenza Nazionale per la Leptospirosi, c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna “Bruno Ubertini”
*Referente: anatale@izsvenezie.it

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