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Peste Suina Africana: la malattia fa passi da gigante


“L’ingresso della Peste Suina Africana (PSA) in Cina avrebbe conseguenze devastanti per la salute animale, il fabbisogno alimentare, e la sicurezza alimentare, facendo emergere la preoccupazione per una sua diffusione nelle regioni del Sud-est Asiatico, la Penisola Koreana e il Giappone”. Questo è quanto riportato nel documento sulla valutazione del rischio di introduzione della PSA in Cina pubblicato dalla Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) a marzo 2018.

Considerando quanto accaduto solo poche settimane dopo, il report FAO può essere considerato davvero come una “profezia di Cassandra”. A partire da metà di giugno 2018 la PSA è stata notificata ripetutamente in Cina, registrando fino ad ora 20 focolai in 8 province in meno di due mesi, con nuovi casi ogni settimana (ProMED-mail).


Epidemiologia

La PSA è stata identificata per la prima volta il Kenya nel 1921 e successivamente riconosciuta come endemica in molti paesi sub-sahariani. In Europa la malattia è arrivata nel 1957 con focolai registrati in molti paesi inclusi Portogallo, Spagna, Malta, Francia, Belgio, Olanda e Italia. Questi focolai e quelli riportati successivamente in est Europa, furono controllati efficacemente portando la malattia all’eradicazione da tutto il continente europeo, sebbene rimane ad oggi presente in Sardegna.
Nel 2007 il virus riappare in Europa, precisamente in Georgia, con ogni probabilità proveniente dal sud-ovest Africano.  Dalla Georgia la malattia si è poi spostata nelle regioni confinanti quali l’Armenia (2007), la Federazione Russa (2007) e l’Azerbaijan (2008).  Dal sud del Caucaso, quindi, il virus ha continuato a viaggiare verso nord e verso ovest con focolai anche nella parte est della Federazione Russa coinvolgendo sia i suini domestici che i cinghiali selvatici. Nel 2012 e nel 2013, sono state interessate l’Ucraina e la Bielorussia rispettivamente; nel 2014: Polonia, Lettonia, Estonia e Lituania e nel giugno 2017 ulteriori focolai si sono registrati in Repubblica Ceca ed in Romania.
Nel 2017 il virus ha compiuto il suo primo “passo da gigante”: nel marzo del 2017 è stato confermato il primo focolaio nella regione di Irkutsk, nella Federazione Russa, a circa 2,000 km dal precedente e approssimativamente a soli 1,000 km dal confine con la Mongolia, in Cina. Molto probabilmente questo focolaio è stato determinato da movimenti di suini infetti o di prodotti derivati.
A giugno 2018 la malattia appare per la prima volta in Cina, in una azienda situata vicino a Shenyang City nella provincia di Liaoning, nella quale tutti i suini soffrivano di una forma clinica acuta caratterizzata da sintomi quali: febbre alta, apatia, arrossamento generale della cute, aumento di volume della milza, congestione ed emorragia generalizzata di linfonodi, cuore, milza e reni. Tutti i 400 suini morirono nel giro di un mese.
Cosi come spiegato dalle autorità cinesi in una comunicazione ufficiale: “La sequenza genetica è la stessa in tutte e tre le aziende colpite […]. Il ceppo ASFV-SY18 appartiene al Genotipo II e condivide il 100% di identità nucleotidica con i seguenti ceppi: Georgia 2007/1, Krasnodar 2012, Irkutsk 2017 e Estonia 2014 isolati in Georgia, Russia ed Estonia e caratterizzati dalla presenza del gene per la proteina p72.” Inoltre, “l’Europa e la Russia sono i più importanti partner commerciali della Cina e sull’onda di una politica liberale di commercio, l’aumento della domanda di carne di suino è andata di pari passo con l’aumento delle importazioni di suini vivi e dei loro prodotti in Cina. L’introduzione illegale di prodotti di origine suina nonché di sottoprodotti destinati all’alimentazione degli stessi suini, nei porti e negli aeroporti internazionali Cinesi, sarebbe molto difficile da controllare. All’aumentare del numero di focolai, tra gli allevatori si sarebbe diffusa l’abitudine di inviare gli animali moribondi nei mercati locali al fine di minimizzare le perdite, facilitando cosi la diffusione della malattia (X. Zhou et al., 2018).
Come descritto nel documento sulla valutazione del rischio pubblicato dalla FAO, pubblicato solo pochi mesi prima dell’inizio dei focolai cinesi, l’entrata della malattia in Cina potrebbe aver seguito diverse strade:” le vie associate al trasporto, l’importazione legale e/o illegale di suini e l’importazione legale e/o illegale dei loro sottoprodotti”. Gli esperti sono d’accordo con il riconoscere come più probabili le vie di entrata associate al trasporto, seguito da importazioni illegali di cibo dai lavoratori Cinesi migranti.  L’importazione legale è considerata come una via improbabile di introduzione.
Il secondo lungo salto della malattia ha coinvolto il Belgio sede di un focolaio a circa 1000 km dal focolaio più vicino. Il 13 Settembre, l’autorità competente belga ha annunciato la conferma di due positività per PSA in cinghiali selvatici trovati morti nella regione di Etalle nel Lussemburgo. Dalla prima notifica 28 sono stati i casi succedutisi, tutti in cinghiali selvatici della stessa regione. Linda Dixon, ricercatrice dell’istituto di Pirbright in Gran Bretagna, intervistata dalla CNN, formula l’ipotesi che i casi possano essere dovuti ad alimenti contaminati provenienti da zone infette portati e abbandonati lungo le strade principali dell’area interessata, ma il tutto è da confermare. Nel frattempo 13 paesi stanno pensando di bloccare le importazioni dal Belgio: l’Australia, la Sud-Korea, Taiwan, Cina, Caucaso, Filippine, Messico, Giappone, Sud Africa, Singapore, Urugay e Malesia (proMED-mail).


La malattia

La PSA è probabilmente la malattia dei suidi più pericolosa attualmente conosciuta, siano essi selvatici o domestici, e di conseguenza per l’intero mercato dei prodotti di origine suina. La malattia è altamente contagiosa e nei suini domestici è altamente letale. Il virus, appartenente alla famiglia Asfarviridae, genere Asfavirus, è molto resistente in ambiente esterno e in una varietà di prodotti derivati dalla carne suina, il che porta ad una grande capacità di trasmissione su lunghe distanze, oltre che per via diretta.  In accordo con quanto dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) il virus non è una zoonosi.
La sua resistenza è stata dimostrata essere di diverse settimane nella carne congelata, fresca o non cotta, cosi come nei prodotti essiccati e salati (EFSA Journal, Scientific Opinion on African swine fever, 2010). Al contrario viene disattivato nel prosciutto cotto o affumicato quando sottoposto a temperature superiori ai 70 °C e nei prodotti stagionati o processati come ad esempio i prodotti stagionati Spagnoli (prosciutti e spalle Serrano e Iberiche), dopo 122-140 giorni di stagionatura.
L’ingresso del virus nel suino normalmente avviene per via nasale o orale, ma è stata dimostrata anche una trasmissione per via cutanea o sub-cutanea, tramite morso di zecca e per scarificazione. Generalmente il virus arriva in aree precedentemente non infette mediante il trasporto di prodotti a base di carne suina non cotta e contaminata, specialmente i sottoprodotti destinati all’alimentazione suinicola trasportati nelle navi e negli aerei.
Il metodo attualmente più affidabile di risalire all’origine dell’infezione in un’area precedentemente indenne è la genotipizzazione. Sono ventidue i genotipi osservati fino ad ora, differenziati sulla base della proteina 72 (p72), e tutti identificati nel continente africano. Al di fuori dell’Africa il genotipo I è stato l’unico ritrovato in Europa, America e nei Caraibi, fino all’introduzione del genotipo II nel 2007 in Georgia. Le tecniche molecolari attuali hanno identificato un unico genotipo in tutti i focolai avvenuti in Europa a partire dal 2007.

La malattia si diffonde tramite contatto diretto tra animali sani e malati (suini domestici e suidi selvatici), da suini in guarigione ancora portatori e da zecche molli o, per esempio, tramite vie indirette quali autocarri, trogoli per abbeveratoio e mangiatoie, strumentario chirurgico e vestiario del personale, roditori o altri animali presenti negli allevamenti. Il periodo di incubazione varia da 4 a 19 giorni. Generalmente le forme acute e iperacute, caratterizzate da sindrome febbrile con eritema e cianosi della pelle, appaiono all’inizio di un’epidemia, quando la letalità è alta e la velocità di propagazione è notevole. L’anoressia, cianosi e incoordinazione possono sopraggiungere in 1-2 giorni prima della morte. Il tasso di mortalità decresce con il passare del tempo. Gli animali infetti possono sopravvivere per diverse settimane ed alcuni persino guarire e rimanere sub-clinicamente infetti per un incerto periodo di tempo. Nelle zone dove la malattia è endemica invece, questa procede con forme subacute e subcliniche, talvolta anche dovute all’emergere di ceppi di virus caratterizzati da virulenza bassa o moderata e che sono più difficili da riconoscere in campo. In questi casi, l’infezione può persistere per diversi mesi senza sintomi particolarmente evidenti a parte una febbre transitoria, calo della crescita o emaciazione, tutti sintomi attribuibili alla maggior parte degli stati patologici (Ma Carmen Gallardo et al., 2015).


Sorveglianza e controllo

Notifica immediata alla Commissione Europea e agli altri Stati Membri, stamping out di tutti gli animali, istituzione di zona di protezione (3 Km) e di sorveglianza (10 Km) con misure di restrizione sulla movimentazione degli animali e dei loro prodotti sono le misure da mettere in atto immediatamente al riscontro di positività (Direttiva del Consiglio, 2002 /60/CE). La Commissione ha inoltre deciso di istituire una differenziazione delle aree infette sulla base del rischio (Decisione del 9 Ottobre 2014 /709 EU):
Parte I: dove il rischio è dovuto alla prossimità dell’infezione nella popolazione selvatica,
Parte II: dove la malattia riguarda solo gli animali selvatici,
Parte III: dove la malattia riguarda entrambe le popolazioni di selvatici e domestici ma la situazione è dinamica con evoluzione incerta,
Parte IV: dove la malattia è endemica e riguarda sia i selvatici che gli animali domestici; è questo il caso unico della Sardegna.
Le misure di controllo prese in base al grado di rischio consistono nel blocco della movimentazione di suini vivi e di cinghiali vivi, di carne suina o di cinghiale, di prodotti o sottoprodotti di origine suina cosi come di seme, embrioni e ovociti suini. Altre misure adottate sono la pulizia e la disinfezione immediata dei mezzi di trasporto e dei locali che hanno ospitato suini o i loro prodotti, l’applicazione di speciali bolli sulle carni di derivazione dalle zone infette e certificazioni speciali.
Attualmente non esiste cura e tantomeno un vaccino, ma sicuramente, la situazione attuale costituirà terreno fertile per lo studio di soluzioni vaccinali.

Figura 1. Regionalizzazione della PSA secondo la Decisione 709/2014/ UE (fonte dei dati: Commissione europea)


Conclusioni

La Cina ospita metà della popolazione mondiale di suini domestici ed ha il consumo pro capite di carne suina più alto del pianeta. La produzione di carne suina aumenterà nel 2018 fino a 54.75 milioni di tonnellate. A livello globale più di 361,000 cinghiali selvatici e suini domestici infetti sono stati notificati all’OIE, con più di 119,000 suidi morti.
Come ampiamente spiegato dagli esperti, il virus segue le vie del trasporto umano quali camion, navi e aeroplani, e con molte probabilità è stato introdotto in Cina tramite il trasporto illegale di animali infetti e dei loro prodotti e sottoprodotti destinati al consumo privato su piccola scala. Altre vie di introduzione e di diffusione sono costituite dal trasporto legale di animali infetti e dallo spostamento di lavoratori emigranti soprattutto quelli provenienti dalla Federazione Russia.  
La Commissione Europea ha chiesto all’EFSA di redigere un’opinione scientifica sul controllo della PSA nei cinghiali. In questo documento l’EFSA ha stilato i seguenti argomenti da sviluppare: lo studio della densità della popolazione di cinghiali, l’identificazione dei dati epidemiologici in grado di indentificare il limite di densità popolazione  in grado di bloccare il diffondersi della malattia, una review dei diversi metodi di contenimento disponibili per il cinghiale in diversi scenari e per diversi obiettivi, la proposta e la redazione di una strategia di sorveglianza, di grandezza del campione e frequenza di campionamento e l’identificazione di gruppi di rischio per l’identificazione precoce della malattia in una popolazione indenne.
Un approccio multidisciplinare insieme al controllo della popolazione di cinghiali selvatici, visto il loro importante ruolo nella diffusione della malattia, saranno di fondamentale importanza nel combattere la diffusione veloce del virus, in particolare lo studio dei fattori epidemiologici riguardanti la specie selvatica, della sua biologia nonché dell’etologia.


Bibliografia

  1. Food and Agriculture Organization of the United Nations. “African Swine Fever Threatens People’s Republic of China “. 6 March 2018. FAO Animal Health Risk Analysis
  2. Gallardo C, Nieto R, Soler A, Pelayo V, Fernández-Pinero J, Markowska-Daniel I, Pridotkas G, Nurmoja I, Granta R, Simón A, Pérez C, Martín E, Fernández-Pacheco P, Arias M. 2015. Assessment of African swine fever diagnostic techniques as a response to the epidemic outbreaks in eastern European Union countries: how to improve surveillance and control programs. J Clin Microbiol 53:2555–2565. doi:10.1128/JCM.00857-15
  3. Nina Avramova. CNN Interview: Health officials 'very worried' as African swine fever spreads in Europe and Asia. October 2, 2018
  4. ProMED-mail
  5. Xintao Zhou, Nan Li, Yuzi Luo, Ye Liu, Faming Miao, Teng Chen, Shoufeng Zhang, Peili Cao, Xiangdong Li, Kegong Tian, Hua‐Ji Qiu, Rongliang Hu. Emergence of African Swine Fever in China, 2018. Transbound Emerg Dis. 2018 Aug 13. doi: 10.1111/tbed.12989.

Valentina Zenobio (COVEPI)

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